Alberto si spostava per il campo seguendo i propri genitori. Non parlava, e quasi non sentiva le poche parole che i suoi gli rivolsero, anche loro insolitamente silenziosi e rapiti dall'atmosfera irreale del luogo, che sembrava un luna park dell'orrore. Come se fosse stato costruito con lo scopo di insegnare che cosa si intenda per comportamento aberrante ai massimi livelli, ma che tutto fosse finto, non potesse essere parte del mondo reale, del passato dell'umanità.
Alberto, dopo il primo forte impatto con il campo, riusciva finalmente a pensare, era come se la sensazione di svuotamento totale avesse lasciato il posto a uno strodimento da sogno, sicuramente meno difficile da sopportare. Indubbiamente Alberto non era mai stato in quel luogo, nè aveva mai letto nulla sui campi di concentramento, aveva visto dei film di guerra, anche se la mamma non era d'accordo, ma si trattava di film di azione, di buoni contro cattivi, quasi sportivi, e mai si faceva menzione dei campi di concentramento o argomenti simili. Perché aveva avuto davanti agli occhi quelle immagini così vivide di quel posto, quasi che fosse un luogo noto? Come poteva sapere con sicurezza che in mezzo a quel prato adesso vuoto c'era una volta un palo con sopra un lampione? E perché sapeva di avere trasportato più volte un pentolone a partire da quella baracca, prima di sapere che quella era la cucina? E associava al nome di alcuni prigionieri un volto emaciato.